E poichè l’uomo è ugualmente importante nei suoi due aspetti, di insime sociale e di individuo, due dovranno essere le discipline a sua disposizione per servirlo in questa esigenza: la storia ha il compito di ricostruire, quali che siano, il volto, i fatti delle civiltà, dei popoli, delle generazioni che ci precedettero; un compito analogo si prefigge l’araldica, com non minore aderenza alla verità, nell’ambito di una famiglia. Quindi, sia pure per binari diversi, storia e araldica procedono di comune accordo, ed anzi si scambiano vicendevole aiuto. Non per niente la famiglia è l’istituto cardine dello Stato. È la globalità delle famigle che forma la società, è la società che fa la storia.
Perciò è fuori luogo credere che tale desiderio di far luce sul proprio passato familiare nasca dalla segreta ambizione di scoprire qualche traccia di nobilità, un pretesto qualsiasi per dare lustro al nome che portiamo.
Semmai il meritevole comportamento dei nostri antenati potrà servirci di esempio e di incitamento. Ci piace concludere la nostra breve introduzione proprio com questa idea. A rimarcarne la eterna validità, ecco cosa scrive Sallustio quaranta anni circa prima di Cristo: “Spesso ho sentito dire che Q. Massimo, P. Scipione, e ancora altri uomini illustri della nostra città, fossero soliti dire che, quando guardavano le immagini dei loro antenati, si sentivano l’animo vivamente infiammato alla virtù. Si intende che quella cera e quel ritratto non avevano in sè tanta forza, ma quella fiamma cresceva nel petto di uomini nobili al ricordo delle imprese compiute e non si placava prima che la virtù avesse uguagliato la gloria e la fama di quelli”. (“Bellum Iugurthinum”, IV, 5-6)
E, a quasi due millenni di distanza, ancora sulla stessa linea il celebre passo dei “Sepolcri” del Foscolo:
“A egregie cose il forte animo accendono
L’urne de’forti ...........”