Di tutto questo dobbiamo ringraziare ai nostri nonni, nostri eroi i D’Angieri Costantino, Caterina, Attilio e Carolina e tanti altri come i Velardi Vincenzo, Giovanna, i Pallaro Luciano, Albino, i Nalio Antonio e Teresa, sopravvissuti che avuto il suo coraggio e la determinazione per superare tutto e tutti, per “il sogno dorato di un paradiso nuovo”. Hanno vinto la fame, le umiliazioni e l’ignoranza grazie alla loro nobiltà di cuore. Grazie a loro siamo oggi qui, sane ed immacolati, attraverso questa sequela di momenti, che furono vinti con fede, onore, coraggio e principalmente con l’amore per i figli e nipoti.
Allora un po’di storia e di racconti sulle navi utilizzate dai nostri antenati per arrivare in Brasile.
Il vapore Matteo Bruzzo, nel 1890 portò Michele Costantino D’Angieri, 42 anni di età, insieme sua moglie Caterina Mazzetti, 37 anni e cinque figli: Attilio nostro nonno e patriarca, 7 anni; Emma, 5 anni; Dina, 4 anni; Pietro, 2 anni e Anita di pochi mesi di vita. Data di sbarco: 7 luglio 1890.
“Delle Odissee del Matteo Bruzzo, nave sfortunatissima che aveva già rischiato più volte il naufragio, esiste un rapporto del ministero dell’Interno dal quale dipendeva allora la Sanità, considerata evidentemente come una faccenda di ordine pubblico. Vi si legge che il piroscafo, con una turba di 1200 emigranti a bordo, quasi tutti italiani, salpò da Genova per Montevideo, il 30 ottobre 1894 quando l’epidemia di colera si era già manifestata anche in Liguria. Sapevasi che le repubbliche del Plata cioè l’Argentina e l’Uruguay avevano dichiarato chiusi i loro porti alle provenienze da luoghi infetti, ma speravasi che il piroscafo sarebbe stato messo a libera pratica dopo una quarantena in quei lazzaretti. E con questa speranza, fondata o meno, ma sicuramente non bastevole per giustificare la partenza, si uscì dal porto di Genova. Una superficialità assassina.