Nelle bandiere il rosso rappresenta ardire e valore, e pare sai stato adottato in principio dagli adoratori del fuoco. Presso i Romani uno stendardo rosso inalberato sul Campidoglio annunziava la guerra, justidium; spiegato sulla tenda pretoriale invitava i soldati alla battaglia. Presentato da un generale innanzi ad una città assediata, significava che era mestieri prenderla d’assalto. A Sparta i soldati, secondo le leggi di Licurgo, dovevano vestire di rosso; a Roma il rosso era il colore dei generali e dei patrizi. A torto il Rey ed altri scrittori hanno fatto del rosso il simbolo della crudeltà, della carneficina e della morte. Benché infatti la bandiera rossa sia spesso servita da segnale di rivolta e di strage, sarebbe però ingiusto condannare per principio, come fa il suddetto Rey, lo smalto di un blasone che figura nella metà delle arme della nobiltà europea. Nei tornei anzi significava allegrezza, e solo se era molto cupo s’interpretava in senso di vendetta, di crudelto, di sdegno, di fierezza; accompagnato con l’argento simboleggiava la gioia, con l’azzurro il desiderio di sapere, col nero fastidio e noia, col violetto amore infiammato, con la porpora assoluta padronanza. Nelle livree il rosso era segno di giurisdizione e alta nobiltà.
I duchi di Borgognsm, i re di Spagna, e re di Navarra, i delfini del Viennese lo adottarono per loro colore peculiare; in Italia i Ghibellini lo presero come distintivo del partito imperiale. Fu detto anche cinabro, ricco colore, gola, vermiglio, rosea, rubino, marte; gli Inglesi quest’ultimo nome gli attribuiscono se è posto nelle armi dei sovrani o dei principi, mentre quello che compare nel blasone dei nobili lo chiamano rubino.