Fino dai tempi dei romani l’argento figurava come colore di divisa, ed è notissima, infatti, la squadriglia “alba” del Circo Romano, squadriglia che poi come tutte le altre divenne una fazione.
Nei tornei succeduti al Circo, le sciarpe e le divise d’argento erano portate da quei cavalieri che volevano dimostrare gelosia e passione amorosa; in seguito questo metallo fu posto sugli scudi in referimento alle idee ed ai concetti che abbiamo già esposti.
Ma se rimane facile cogliere il nesso esistente fra il bianco e le virtù più pure e perfette come innocenza, purezza, clemenza, riuscirà più difficile cogliere la relazione che passa fra lo stesso e l’idea di vittoria, di allegrezza.
Per comprendere questo basterà ricordare la veste bianca del generale romano trionfatore, portato da quattro cavalli bianchi e seguito da tutto l’esercito biancovestito e dai prigionieri, anch’essi legati in ceppi d’argento; oppure pensiamo a Bacco accompagnato dal suo corteggio di Baccanti in preda ad una sfrenata gioia, rappresentate sempre avvolte in drappi bianchi. Tutto ciò spiega dunque dove l’araldica abbia trovato i suoi simboli.
Proseguiamo ora illustrando la simbologia espressa dal rosso, il colore che attesta, forse più di ogni altro, la nobiltà della nostra ascendenza, mentre ricorda lo spargimento di sangue in battaglia ed anche audacia, valore e dominio.
Nessuno – e desideriamo citare un inconfutabile studioso d’araldica del secolo XVIIIº, il Conte Marc’Antonio Ginanni – poteva in antico portare tale cromo nell’arma gentilizia se non aveva “espressa permissione” dalla Fons Honoris e nemenno “si permetteva il rosso com l’oro nell’arme se non che ai Principi e Cavalieri, e a quelli che erano di illustre sangue”.